Roberta Garibaldi – autore del Rapporto sul turismo enogastronomico italiano – ha svolto un’indagine al fine di approfondire la conoscenza di questo fenomeno: “Diffuso e in forte crescita da qualche anno, oggi il social eating è un prodotto maturo, ha un mercato definito tra i residenti che si consolida grazie alla diversificazione delle esperienze: non solo cene, ma anche lezioni di cucina o visite ai mercati locali, con unallargamento degli attori coinvolti, non solo intraprendenti padroni di casa, ma anche chef professionisti e ristoratori.“
L’indagine ha identificato le principali piattaforme operanti sul mercato che si rivolgono a target differenti – dal turista al consumatore locale – e offrono una molteplicità di esperienze. Alcune di queste hanno avuto vita breve, perchè uscite anzitempo dal mercato o acquisite da altri player del settore; altre, invece, si sono affermate globalmente (come Bon Appetour, Eatwith, Meal Sharing, Plate Culture, Travelling Spoon, Withlocals) o nazionale. Tra queste, per quanto concerne il nostro Paese, interessante è Gnammo: la prima e più attiva piattaforma italiana dedicata al social eating, nata a Torino e lanciata nel 2012. La sua crescita è stata rapida, quasi esponenziale, passando dagli iniziali 3.596 nel 2012 ai ben 244.000 utenti ad agosto di quest’anno a conferma della crescente popolarità del fenomeno.
Chi sono gli Gnammers
“Sono principalmente italiani con un’età compresa tra i 35 e i 44 anni (37%) e tra i 25 e i 34 (28%) a scegliere di vivere queste esperienze – spiega Roberta Garibaldi – Lombardia (20%), Lazio (14%) e Piemonte (10%) sono le principali regioni di residenza degli utenti”.
“Il successo del social eating – afferma Cristiano Rigon di Gnammo – dimostra come la tavola rimanga ancora oggi il miglior “social” del mondo. Mettendo insieme due caratteristiche tipiche italiane, la socialità e il buon cibo, il social eating con Gnammo è riuscito a portare la sharing economy in un settore economico tradizionale come quello del food, offrendo allo stesso tempo nuove opportunità per costruire relazioni.”
Chi sono invece i cooks (ovvero gli organizzatori)? Sono il 5% degli iscritti, nella quasi totalità italiani che vivono anche in questo caso in Lombardia (17% dei cooks) e Lazio (14%), è un interesse traversale tra le generazioni, con una prevalenza di persone di età compresa tra 35 e 44 anni (32%). Oltre ad essere cuochi amano anche partecipare ad eventi organizzati da altri, partecipano mediamente al doppio degli eventi degli altri utenti (3,7 contro 1,8) e prenotano per un numero superiore di persone (7,3 contro 3,5).
“All’aumentare dell’età, la quota percentuale dei cooks tende ad aumentare mentre diminuisce quella dei meri partecipanti: le ragioni possono essere molteplici e spaziano dalla possibilità di ottenere un guadagno aggiuntivo all’opportunità di conoscere nuove persone, dal desiderio di far conoscere la cucina e i prodotti tipici del luogo al bisogno di occupare con attività il proprio tempo libero, quest’ultima motivazione soprattutto per gli over 65.” – afferma Roberta Garibaldi.
La percentuale di utenti stranieri si attesta attorno al 5%: Russia (40% sul totale degli utenti non italiani) e Stati Uniti (20%) sono i primi due paesi di residenza dei fruitori, a conferma del crescente interesse negli ultimi anni dei turisti russi per il cibo tradizionale italiano. “Questo dato – continua Garibaldi – da un lato certifica l’esistenza di un mercato turistico, dall’altro, poiché è ancora contenuto, evidenzia un grosso potenziale di crescita. L’offerta è potenzialmente attrattiva per i turisti, che amano vivere “like a local”: il 39% dei turisti leisure internazionali (il 13% degli italiani) dichiara interesse a partecipare a esperienze di social eating, mentre il 25% (14% in Italia) spesso o sempre cena con sconosciuti in vacanza (dati Food Travel Monitor 2016 e Primo Rapporto sul Turismo Enogastronomico Italiano 2018).
Special dinner, un’esperienza per il turista
Gli eventi proposti sulla piattaforma Gnammo si dividono in due tipologie: Social Eating e Special Dinner, per un totale di 1.261 eventi realizzati nel 2017 e di 2400 pubblicati a fine novembre 2018. Special Dinner sono eventi on-demand pensati per soddisfare l’esigenza di scoprire un territorio attraverso tre elementi principali: cibo locale, location distintive e contatto con gli abitanti del luogo. Dopo l’avvio nella Capitale, oggi si possono ritrovare nei principali poli turistici italiani, con Veneto ed Emilia Romagna ai primi posti per numero di eventi realizzati. Dalle cene in dimore di charme, a pranzi bucolici in campagna, da cooking class a esperienze in barca, l’offerta è piuttosto varia. Cresciuti gradualmente, nel 2017 hanno costituito il 39% del totale degli eventi realizzati, acquisendo un ruolo importante nell’offerta della piattaforma.
Social Eating e ristorazione tradizionale: c’è competizione?
La ristorazione tradizionale offre la possibilità di gustare una cucina di qualità in un contesto differente da quello familiare; il social eating, invece, crea l’opportunità di incontrare e conoscere nuove persone condividendo esperienze culinarie nel contesto ‘intimo’ di una casa durante uno dei momenti più sociali per eccellenza: il pranzo o la cena.
Prendendo in considerazione la distribuzione territoriale degli eventi realizzati tramite la piattaforma, Lombardia, Piemonte e Lazio si aggiudicano il podio. Lombardia e Lazio sono fra l’altro le prime due regioni in Italia per numero di ristoranti; Lombardia e Piemonte sono anche leader per densità di ristorazione d’eccellenza.
“I dati analizzati relativamente a Gnammo – conclude Garibaldi – mostrano che le cene organizzate da ogni cuoco si configurano come attività saltuarie: l’83% ha organizzato da 1 a 3 eventi, mentre l’11% da 4 a 9. Solo il 3% ne ha organizzati da 10 a 19 mentre il 3% più di 20. Se questo dato relativo alla saltuarietà fosse effettivamente confermato ed estensibile a livello nazionale, configurerebbe queste esperienze come qualcosa di occasionale (come avviene in Olanda con il portale “Dine with the Dutch”) e dunque non in concorrenza con la ristorazione tradizionale. Il social eating – come dice il nome stesso – è un’occasione di socializzazione, diversa dall’esperienza gastronomica che il pubblico cerca invece in un ristorante classico”.