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Cucina italiana: scopri l’identità e il comitato scientifico

cucina italiana Roberta Garibaldi Comitato scientifico
Il progetto di candidatura della cucina italiana è iniziato nel Luglio 2020 su iniziativa di Maddalena Fossati, direttore de La cucina italiana in collaborazione con le agenzie SpoonGroup e BIA e con il sostegno e il supporto dell’Istituto Centrale per il Patrimonio Immateriale del MiBACT e dell’ANCI. 

Ecco il comitato scientifico che sosterrà e redigerà il dossier necessario alla candidatura: 

  • Roberta Garibaldi – Docente di Tourism Management, Presidente Associazione Italiana Turismo Enogastronomico
  • Luisa Bocchietto – Architetto, Senator della World Design Organization
  • Alberto Capatti – Storico dell’alimentazione e della Gastronomia italiana, membro del Comitato direttivo dell’Institut Européen d’Histoire de l’Alimentation
  • Giovanna Frosini – Docente di Storia della lingua italiana, Accademica della Crusca, Coordinatrice in Linguistica storica, Linguistica educativa e Italianistica
  • Massimo Montanari – Docente di Storia Medievale e Storia dell’alimentazione all’Università di Bologna
  • Paolo Petroni – Presidente dell’Accademia Italiana della Cucina
  • Vincenzo Santorio – Responsabile del Dipartimento di Cultura e Turismo dell’Associazione Italiana dei Comuni Italiani
  • Luca Serianni – Docente di Storia della lingua italiana dell’Università La Sapienza, coordina il comitato che organizza il Museo della Lingua Italiana di Firenze
  • Laila Tentoni – Presidentessa di Casa Artusi
  • Vito Teti – Antropologo e scrittore, direttore del Centro Demo-Antropologico Raffaele Lombardi Satriani dell’Università della Calabria, membro del Comitato Italiano di Antropologia dell’Alimentazione

“Un onore per me essere nominata membro del comitato scientifico. L’iscrizione nel patrimonio dell’UNESCO della cucina italiana, oltre al valore che in sé racchiude, è uno stimolo ed una opportunità per sviluppare nuova progettualità, creare sinergie, promuovere i territori anche in ottica turistica” afferma Roberta Garibaldi. “Ritengo che attraverso questo progetto potremmo valorizzare l’enogastronomia per farne un motore di ripartenza in un momento cosi importante. E lo faremo partendo dai nostri prodotti, dalle nostre ricette, cosi come dalle storie dei nostri produttori, dalle tradizioni locali e dai paesaggi che diventano enogastronomici in un’ottica di integrazione tra innovazione, sostenibilità e rispetto delle tradizioni”.

In questi stessi giorni il “Cous Cous” e lo “Street Food di Singapore”, emblema della cultura hawker del Paese, sono state iscritte nella lista del patrimonio immateriale dell’UNESCO, ulteriore riconoscimento dell’unicità del valore culturale del patrimonio enogastronomico, elemento che connota territori e ne esprime conoscenze, tradizioni, usi e costumi della gente che vi vive e che si sono consolidati nel tempo.

Photo by Mattia Bericchia on Unsplash

I beni italiani legati alla gastronomia iscritti nella lista UNESCO

Ai 1.121 siti iscritti nella lista dei patrimoni dell’umanità stilata dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura-UNESCO si aggiungono 532 beni immateriali, ossia pratiche, rappresentazioni, espressioni, nonché conoscenze e labilità che le comunità, i gruppi e, in alcuni casi, gli individui riconoscono come parte del loro patrimonio culturale; di questi 14 si riferiscono a tradizioni italiane. 

La “Dieta mediterranea” è stata il primo bene enogastronomico ad essere inserito in questa speciale lista, essendo stata riconosciuta nel 2013 come patrimonio immateriale transnazionale. Negli anni successivi l’elenco si è andato ampliandosi, anche grazie agli sforzi profusi a livello nazionale e regionale nel sostenere le candidature. Tra i beni immateriali figurano, infatti, la “Coltivazione della vite ad alberello di Pantelleria” (2014) e “L’Arte del pizzaiuolo napoletano” (2017). Si tratta di pratiche agricole e culinarie tramandate attraverso istruzioni pratiche e orali da generazioni e che, per il loro valore culturale e identitario, sono state riconosciute dall’UNESCO come beni meritevoli di tutela. 

I “Paesaggi vitivinicoli del Piemonte: Langhe-Roero e Monferrato” (2014) e le “Colline del Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene” (2019) rientrano tra i beni materiali a potersi fregiare di questo importante riconoscimento. Al pari della Costiera Amalfitana, delle 5 Terre, del Cilento e Vallo di Diano, dei Sacri Monti, della Val d’Orcia, delle Ville e dei Giardini Medicei, sono iscritti nella Lista del Patrimonio Mondiale come paesaggio culturale poiché capaci di testimoniare l’unicità e la positiva interazione tra uomo e ambiente, nel caso specifico attraverso la pratica della viticoltura.

Il nostro Paese vanta inoltre tre delle sei città insignite del titolo di “Città Creative per la Gastronomia”, l’iniziativa promossa dall’UNESCO per mettere in rete e promuovere la cooperazione tra i centri che hanno identificato la creatività e la gastronomia come elementi strategici per lo sviluppo urbano sostenibile. Parma (Emilia-Romagna) e Alba (Piemonte) hanno ricevuto il prestigioso riconoscimento rispettivamente nel 2015 e 2017 grazie sia alle eccellenze enogastronomiche dei due territori che all’impegno verso lo sviluppo di politiche e buone pratiche innovative che vedono protagonista l’enogastronomia. Nel 2019 si è aggiunta all’elenco la città di Bergamo, grazie al suo patrimonio gastronomico ricco di prodotti tradizionali, tra cui spiccano i formaggi, che rappresentano un saldo legame fra la città e le valli.

Foto di Oliver Schmid da Pexels UNESCO

Il panorama europeo

Al 2020 sono 29 i beni europei tutelati e legati all’enogastronomia; di questi, 13 sono materiali e 16 immateriali. Le prime candidature risalgono alla fine degli anni Settanta, con il riconoscimento delle miniere di sale di Wieliczka e Bochnia (Polonia). Tra gli anni Ottanta e i primi anni Duemila sono state incluse le saline francesi di Salins-les-Bains e Arc-et-Senans (1982), la regione vitivinicola portoghese dell’Alto Douro (1989), il paesaggio della cultura vinicola dell’isola di Pico in Portogallo (1996), la regione vitivinicola ungherese del Tokaj (2002) e i vigneti terrazzati del Lavaux in Svizzera (2007).

Ma è nell’ultimo decennio che si assiste ad una rapida e consistente crescita dei beni inseriti nella lista UNESCO, indice di una rinnovata attenzione e di un forte desiderio di tutelare la cultura enogastronomica locale sia nelle sue espressioni tangibili che intangibili. Escludendo l’Italia, si sono aggiunti i paesaggi agricoli di Causses e Cévennes (Francia) e di Kujataa (Danimarca), i territori vitivinicoli francesi dello Champagne e della Borgogna. Passando ai beni immateriali, l’elenco è assai più ampio e vario, includendo fra gli altri la cultura brassicola belga, il caffè turco, il pasto gastronomico dei francesi e le tecniche artigianali di produzione del lime di Morón de la Frontera in Spagna. 

Per quanto concerne le “Città Creative per la Gastronomia”, oltre alle 3 italiane (Alba, Parma e Bergamo) figurano Burgos e Denia in Spagna, Östersund in Svezia e Bergen in Norvegia.