Marcantonio Ruisi, Università degli Studi di Palermo
Professore Ordinario e Chief del «Contamination Lab» dell’Università degli Studi di Palermo. È vice-presidente Società Italiana di Scienze del Turismo (SISTUR) e coordinatore della Collana di Quaderni di Ricerca Economico Aziendale: Teoria e Casi
Il comparto del turismo enogastronomico non di rado viene rappresentato nell’immaginario collettivo come un contesto di mercato popolato da “formule imprenditoriali” (Coda 1984, 1998) tendenzialmente mature (al più soggette ad azioni di restyling) che scaturiscono dall’intersezione di settori (agro-alimentare e turismo) non estremamente orientati all’innovazione o quanto meno soggetti a cambiamenti graduali e lenti se confrontati con altri come la manifattura meccanica e l’elettronica, la chimica e la farmaceutica, i servizi finanziari, ecc. In che termini e quindi secondo quali direzioni potrebbe concepirsi un aggiornamento o addirittura una riconcettualizzazione dei “modelli di business” (tra gli altri, cfr. Osterwalder e Pigneur, 2010) delle aziende che offrono prodotti ed esperienze enogastronomiche a potenziale valorizzazione turistica? Quale dovrebbe essere il bilanciamento nelle dinamiche di portafoglio tra ricerca del nuovo e sfruttamento dei prodotti/servizi realizzati (quindi dei risultati conseguiti)? Di fatto la risposta a queste domande ci porta inevitabilmente a comprendere le ragioni del perché, come, quando e in che direzione (come) innovare. Che l’innovazione sia alla base del successo duraturo di ogni azienda, è un assunto ormai consolidato nella letteratura di genere (tra gli altri Keeley et al., 2013). Ogni realtà imprenditoriale è soggetta a pressioni competitive più o meno intense con cui bisogna confrontarsi; pressioni che finiscono per erodere l’eventuale vantaggio competitivo conseguito o che per converso frenano o bloccano la rincorsa nel raggiungerlo. Oggi se si vuole rimanere proiettati verso lo sviluppo occorre procedere spediti anche seguendo logiche di hypercompetition (D’Aveni, 2010), cioè mettendo in conto la possibilità di auto-surclassare gli stessi risultati già conseguiti per puntare a nuovi e più ambiziosi obiettivi; la sfida allora sta nel bilanciamento di azioni di sfruttamento (exploiting) e di ricerca (exploring) (Osterwalder et al., 2020), ossia nel gestire/sfruttare proposte di valore esistenti che ci fornisco marginalità positive e consolidate con altre di innovazione che delineano nuovi progetti a vario livello di rischio. L’innovazione ovviamente deve tener conto delle dinamiche di cambiamento che sono esogene all’azienda e che investono le macro-variabili ambientali (da cui il ricorso all’analisi PESTEL) come ad esempio: gli stili di vita e la disponibilità reddituale delle persone, le condizioni climatiche, l’evoluzione tecnologica che impatta sui processi di produzione e trasformazione agroalimentare, le variazioni del costo del denaro, la digitalizzazione degli strumenti di finanziamento e pagamento, ecc. Ma l’innovazione, in ultima analisi e comunque, deve scaturire all’interno (se non dall’interno verso l’esterno) dell’azienda, da una volontà determinata degli attori chiave a prefigurarla ed implementarla.
Secondo Keeley et al. (2013) almeno dieci sono i tipi di innovazione che possono interessare un’azienda; le aziende più longeve e di successo sono quelle che, lungi dal focalizzarsi solo su uno (o al limite due) driver, si sono impegnate su più fronti, ossia che hanno avviato processi innovativi lungo varie direzioni.
1) Innovazione nel modello di profitto: è possibile, ad esempio, pensare a logiche freemium o razor & blades per cui non pago nulla o poco per la componente base del prodotto e poi sono disposto a sborsare del denaro (o più denaro) per usufruire della piena potenzialità del prodotto/servizio e quindi di versioni più rispondenti ai bisogni percepiti/manifestati (per un esempio riferito al pricing della stanza e dei peripherals cfr. Ruisi, Di Fede, 2012); o ancora a logiche del tipo pay per use in cui la mia azienda o il mio cliente paga solo quando e quanto consuma, o pay per click in cui la campagna pubblicitaria on line di un ristorante viene pagata solo a fronte dell’effettiva visualizzazione del messaggio pubblicitario da parte degli avventori; o, per continuare, alla possibilità di lanciare degli abbonamenti per fruire di servizi enogastronomici e turistici.
2) Innovazione nel network: esempio storico è stato quello di McDonald’s secondo la proposta di Ray Kroc e l’apertura dei tanti chioschi con gli archi d’oro praticamente in tutti gli Stati Uniti d’America e poi nel mondo. Oggi si potrebbe rinviare al ruolo delle diverse piattaforme di delivery per il successo di alcuni ristoranti. “Le innovazioni del network danno modo alle imprese di trarre vantaggio dai processi, dalle tecnologie, dalle offerte, dai canali e dai marchi delle altre aziende […]” (Keeley et al., 2013). Immaginare nuove alleanze strategiche, nel convincimento che l’offerta enogastronomica è complementare ad un più ampio prodotto turistico confezionato nel territorio (e non solo) da svariati soggetti, è una sfida che deve star sempre innanzi ciascun operatore economico.
3) Innovazione nella struttura aziendale: le nuove tecnologie e la digitalizzazione delle attività all’interno della catena del valore, le nuove forme di lavoro a distanza consolidate durante la pandemia da Covid 19, la complementarietà di quanto fornito da partner del network di riferimento (compresi quelli di cloud computing) hanno portato talora ad una riconfigurazione della struttura organizzativa e alla possibilità di esternalizzare o co-progettare e co-produrre beni e servizi enogastronomici e turistici, oltre che l’inevitabile aggiornamento/integrazione delle competenze e delle abilità delle proprie risorse umane.
4) Innovazione nel processo: insieme a quella di prodotto rappresenta il tradizionale ambito di cambiamento e aggiornamento di un’azienda. I processi di produzione e/o erogazione (così come quelli di approvvigionamento, di delivery, di promozione, ecc.) che attraversano la struttura aziendale dovrebbero essere continuamente rinnovati al fine di perseguire maggiori livelli di efficienza e al fine di meglio rispondere alle esigenze della clientela. Dall’altra parte per alcuni processi si riscontra un ruolo che i turisti avocano sempre più a se come soggetti prosumer (contestualmente produttori e consumatori) che partecipano attivamente ad alcune fasi di produzione dei servizi di cui fruiscono, così ad esempio nell’ambito della ristorazione con il coinvolgimento diretto dei clienti in attività di preparazione delle pietanze o a monte di raccolta dei prodotti della terra. Si riconfigura così il ruolo del fruitore in quello di co-maker e il turista non è solo visitatore ma “visit-autore”.
5) Innovazione della performance di prodotto, il che dovrebbe presupporre un’implicita comparazione con i prodotti/servizi della concorrenza, visto che tale tipo di innovazione mira all’ottenimento di output con caratteristiche apprezzabili da parte della domanda e quindi di maggior valore rispetto a quanto offerto dei rivali di mercato. Non di rado questo risultato si raggiunge lavorando nell’interstizio di settori diversi o prossimi e quindi rivolgendosi a una “non domanda”, potenziali consumatori non ancora identificati e serviti come è tipico per le offerte “oceano blu” (Kim e Mauborgne, 2005); le attività di benchmarking (tipiche per l’innovazione incrementale) o lo sviluppo di sessioni di brainstorming basate sul cosiddetto “pensiero laterale” (tipiche per l’innovazione disruptive) possono favorire di certo nuove performance per la proposta di valore.
6) L’innovazione del sistema di prodotto: si lega strettamente a quella della relativa performance e riguarda possibili elementi complementari del prodotto che amplificano ad esempio le funzionalità d’uso o generano un più ampio sistema al di là del prodotto in sé. Quanto è stato tipico dell’attività di confezionamento espletata dai tour operator lascia margini di replicabilità in varie e molteplici direzioni. Agganciare al prodotto core della produzione agricola, una visita guidata, un percorso di degustazione, un’esperienza di coinvolgimento diretto nella raccolta dei frutti della terra, un percorso didattico, dei laboratori di sperimentazione, ecc. sono esemplificazioni già assai note nella prassi aziendale.
7) L’innovazione dei servizi: talora al cliente risulta difficile fruire del bene/servizio; il ruolo dei servizi diviene allora cruciale per catturare un reale interesse di acquisto. I servizi possono permettere un risparmio nelle tempistiche di accesso (attività di booking, percorsi fast track, ecc.); possono permettere un’esperienza diacronica (ad esempio spedizione a domicilio di beni di consumo di cui si è fruito durante la vacanza, tipicamente prodotti eno-gastronomici); possono fornire maggiore sicurezza al consumer in termini di salute, incolumità fisica, certezza nell’erogazione, ecc. (così per certe app che possono essere messe a disposizione degli utenti).
8) L’innovazione dei canali: si parte da come il cliente è stato raggiunto finora, sia in termini di consegna che, prima ancora, di comunicazione. Durante la pandemia da Covid-19, l’innovazione di canale ha giocato un ruolo fondamentale per la sopravvivenza di molte aziende della ristorazione che hanno sì modificato la loro struttura, ma che hanno fatto leva anche su nuove modalità di delivery sia gestite in house che esternalizzate a soggetti partner. Anche sul piano dei canali di comunicazione, il media mix sperimentato ha permesso alle aziende di affrontare la crisi con spirito resiliente, se non addirittura (come direbbe Taleb, 2012) “antifragile”, vale a dire con un orientamento a superare la difficoltà pandemica rafforzando i fondamentali del proprio business.
9) L’innovazione del brand: un esempio emblematico sul piano del marketing territoriale è stato quello offerto dalla città di Copenhagen che ha lanciato una campagna di comunicazione in cui la parola “open” inglobata nel suo nome è divenuta passepartout per una declinazione ampia di destinazione (C-Open-Hagen) aperta ai giovani, alle famiglie, allo sport, ecc. di volta in volta con un logo esplicativo del tipo di esperienza che la città offriva a ciascuna tipologia di target. Il design del logo e il relativo pay-off possono contribuire a calamitare l’attenzione dei potenziali utenti, a passare certi contenuti identitari del prodotto-servizio o della mission aziendale, ecc.
10) L’innovazione delle modalità di coinvolgimento della clientela: il customer engagement oggi si sviluppa in modo sempre attivo e partecipato, al più “gamificato”. I clienti desiderano sempre più rivestire il ruolo di “visit-attori”, più che di meri visitatori. La gamification (Ruisi, 2019), in questo caso l’applicazione di logiche ludiche in contesti di business, cerca di coinvolgere i clienti sul piano emozionale; addirittura a trasformare il prodotto/servizio turistico e/o gastronomico da semplice bene di consumo a bene relazionale, di condivisione partecipata, certa chiave di successo di un’esperienza che crea legami sociali ed esperienze memorabili.
Un’innovazione portata lungo vari sentieri di cambiamento, qualifica un’azienda come azienda dinamica, capace di cogliere (se non anticipare) i cambiamenti dei gusti della clientela, cogliere le novità che si profilano lungo la filiera di riferimento, giocare di anticipo sui processi imitativi della concorrenza, magari anche grazie a nuove formulazioni progettate con partner esterni e/o con gli stessi utilizzatori finali, secondo un orizzonte spaziale amplificato in cui la forza identitaria del territorio diviene punto di partenza, di arrivo e ripartenza, in termini circolari iterativi causa ed effetto, dell’azione imprenditoriale e manageriale. Ecco l’affermarsi di una logica di innovazione glocale che deve contraddistinguere lo scenario di sviluppo di un’offerta enogastronomica di rilevanza turistica: orientarsi in termini di scalabilità ad un mercato globale, a partire dalla valorizzazione di una proposta di valore (sistemica con il territorio di riferimento) che abbia un radicamento identitario locale.
Bibliografia
Coda V. (1984), “La valutazione della formula imprenditoriale”, in Sviluppo e Organizzazione, 82 (marzo-aprile).
Coda V. (1988), L’orientamento strategico dell’impresa, Utet, Torino.
D’Aveni R.A. (1994), Hypercompetition, The Free Press, New York, NY.
Keeley L., Pikkel R., Quinn B., Walters H. (2013), Ten Types of Innovation: the discipline of building breakthroughs, John Wiley & Sons, New Jersey.
Kim W.C., Mauborgne R. (2005), Blue Ocean Strategy. How to create uncontested market space and make competition irrelevant, Harvard Business Schoool Press, Boston, Massachesetts.
Osterwalder A., Pigneur Y. (2010), Business Model Generation, John Wiley & Sons, New Jersey.
Osterwalder A., Pigneur Y., Etiemble F., Smith A., (2020), The invincible company. How to constantly reinvent your organization with inspiration from the world’s best business models, John Wiley & Sons, New Jersey
Ruisi M., Di Fede G. (2012), “La ridefinizione del sistema di prodotto a supporto della redditività dei beni/servizi periferici al core business: spunti di riflessione dal management dell’azienda alberghiera”, in M. Ruisi, L. Picciotto (a cura di), Atti della IV Riunione Scientifica della Società Italiana di Scienze del Turismo (SISTUR) Palermo, 26-27 ottobre 2012, Aracne, Roma.
Ruisi M. (2019), Progettare Startup. Virtù imprenditoriali, modelli di business, piani di fattibilità, gamification, Giappichelli, Torino.
Taleb N.N. (2012), Antifragile. Things that gain from disorder, Random House, New York.