Luciana Polliotti, Storica del Cibo
Dal 2001 membro fondatore della “Coppa del Mondo della Gelateria”, Dal 2012 curatrice storica presso Gelato Museum Carpigiani di Anzola dell’Emilia. Giornalista ed autrice di molteplici testi.
Le niviere, le case del ghiaccio architettonicamente le più bizzarre, i pozzi di neve sono sparsi un po’ in tutto il mondo. La ricerca del piacere, attraverso l’uso di bevande ghiacciate, è una delle caratteristiche dell’uomo a qualsiasi latitudine esso si trovi. Con il ritrovamento di fonti certe sappiamo che dall’India, alla Cina al Giappone al Vicino Oriente all’Europa meridionale si trovano luoghi ove erano stivati neve e ghiaccio per l’utilizzo alimentare. L’Italia ne conta centinaia o addirittura migliaia. Purtroppo, questi luoghi non sono stati mai censiti. Tra gli esempi più interessanti vi sono le cantine per la neve a Villa Adriana a Tivoli o, successivamente, i pozzi di neve costruiti presso i monasteri e le ville nobiliari e borghesi. Vi sono vie, come la via delle Ghiacciaie a Firenze o Vicolo della neve a Palermo, che testimoniano la diffusione dell’uso alimentare del ghiaccio. L’imperatore Adriano fece costruire grandi cantine del ghiaccio, con canali di scolo per le acque reflue nella sua villa di Tivoli, tutt’ora visitabili. Nella Roma imperiale fu creato uno strumento, il colum nivarium (un esemplare si trova al Museo archeologico di Napoli) che serviva per “depurare” la neve dai residui di frasche utilizzati per proteggerla dal calore e impedire che si sciogliesse. Qualsiasi tipo di bevanda, ieri come oggi, è particolarmente gradita se servita ghiacciata.
Sono gli arabi, per la loro farmacopea, a trasformare un decotto di zucchero con infuse erbe officinali e radici in uno sciroppo(shrb), che diventerà negli anni una base per la creazione del sorbetto. Lo sciroppo veniva somministrato agli infermi caldo oppure raffreddato mediante il ghiaccio. Ma qui non si tratta di “Gelato”, si tratta ancora di bevande ghiacciate.
E’ con il Rinascimento italiano che inizia la storia del gelato
Cultura, arte, voglia di vivere esplosero provocando un maremoto. Leonardo, Michelangelo, Ariosto Galileo erano le punte di un iceberg in entusiasmante fermento. L’Italia geniale e scapestrata dettò legge in tutti i settori: artistico, intellettuale e di costume.
Naturalmente non erano tutte rose e fiori. Fuori dai palazzi la vita era dura: ingiustizie sociali, povertà, malattie… Tuttavia, in mezzo a queste miserie, a questi contrasti la gioia di vivere esplodeva, e con essa naturalmente l’amore per la buona tavola. Due importanti libri di cucina scritti nel ‘400 da Platina (Bartolomeo Sacchi) e da Panonto (Domenico Romoli) diventarono dei veri e propri best-seller. Venezia, era la capitale dell’editoria e fu a Venezia che si stamparono e ristamparono testi come Delle oneste voluttà e Singolare dottrina. Fioriscono i cuochi letterati e il convito diviene un’arte.
Firenze, Venezia, Mantova, Ferrara, Roma perfezionarono via via lo stare a tavola. L’uso della terza posata, la forchetta, divenne la regola presso la nobiltà e la nuova borghesia mercantile. Fiorirono grandi cuochi, che ebbero la possibilità di esprimere il loro genio e la loro fantasia quasi ogni giorno accumulando esperienze e creando nuove emozioni. I loro piatti provocavano nei commensali lo stesso entusiasmo di una tela dipinta o di una bella facciata. Essi erano considerati artisti e tenuti in altissima considerazione. La cucina era guardata come lo specchio della ricchezza, del gusto e del costume di una famiglia. Le brigate di cucina accoglievano molte decine di persone al loro interno e nascevano nuove specializzazioni.
E in questo contesto troviamo le prime tracce di un prodotto raffinatissimo quale il gelato, innanzitutto per la novità, la bontà e perché era estremamente complessa la sua realizzazione e assai costose o rare le materie prime con cui realizzarlo come lo zucchero, il ghiaccio, il sale.
Firenze, in particolare, è ricca di leggende sul gelato. E però dove c’è fumo a volte c’è anche arrosto. Si narra della giovane Caterina de’ Medici, che dopo le nozze con Enrico II, avrebbe portato con sé oltre ai profumieri e sarti anche un tal Ruggeri, capace di realizzare straordinari “dolcetti gelati”. Oppure dell’architetto Bernardo Buontalenti, gran inventore di macchine da spettacolo oltre ad essere colui che terminò gli Uffizi, creò il Belvedere, la via delle Ghiacciaie a Firenze, disegnò fortezze per numerose città toscane… si dice che abbia inventato una deliziosa crema all’uovo ghiacciata impreziosita da un tocco di vin Santo. Si dice.
Un’Ode, scritta dal letterato Francesco Redi, ci restituisce profumi, sapori e …metodo di lavorazione dei primi Gelati. Latte, uova, zucchero, fiori di gelsomino, scorza di limone mescolati in una sorbettiera di porcellana che, immersa in un tino contenente ghiaccio e sale (per abbassare la temperatura del ghiaccio) sarà ruotata continuamente fino a che tutta la miscela avrà cambiato consistenza: da liquida a solida. Durante la rotazione, il liquido aderisce alle parti della sorbettiera gelando e con una paletta lo si stacca facendolo cadere in fondo fin quando, continuando la rotazione, tutto il liquido gela.
In questo contesto è nato il gelato e con esso un nuovo mestiere: il gelatiere.
Il movimento che il gelatiere compie per realizzare il gelato è noto come “stacca e spalma” e in Italia questa operazione si è tramandata di padre in figlio fino al Novecento, fino cioè all’invenzione della “gelatiera”, più precisamente, del mantecatore elettrico da parte di Otello Cattabriga brevettato a Bologna nel 1927.
Dal Rinascimento, aperta la strada, per il gelato italiano è un susseguirsi di successi. Man mano, il gelato si arricchisce di gusti, di sapori, di abbinamenti. I gelatieri italiani sono richiestissimi presso le Corti e le casate in tutta Europa e le brigate di cucina non sono tali senza il professionista del freddo.
Nei ricettari, dai primi del Settecento in poi, si trovano sorprendenti ricette di gelato: profumati con garofani, violette, cannella; gelati con ciliegie, con mandorle e con vini e poi con cioccolato, caffè… Ma anche i finocchi, il tartufo, l’abbinamento aglio e fragole… La creatività non ha più limiti. I primi gelati
E’ stata l’invenzione del ghiaccio artificiale a consentire nell’Ottocento una diffusione prima europea e poi mondiale del gelato di scuola italiana, poiché veniva abbattuto un primo costosissimo impedimento: il reperimento del ghiaccio. Anche se i prezzi delle materie prime per realizzarlo erano ancora alti, soprattutto il sale, il gelato uscì da Corte e si “democraticizzò”.
Un contributo assai importante alla democratizzazione del gelato, lo diede Procopio Cutò, giovanissimo gelatiere Siciliano che emigrato a Parigi dopo vicissitudini romanzesche riuscì ad aprire il celeberrimo Cafè Procope, proprio davanti all’Ancienne Comèdie dove tutt’ora risiede. Il giovane Procopio produsse e vendette al pubblico i suoi gelati che ottennero un successo strepitoso: intellettuali e artisti erano i maggiori frequentatori del Cafè.
Il gelato artigianale di scuola e tradizione italiana
Nella seconda metà dell’Ottocento furono i gelatieri della val di Zoldo, i Cadorini e successivamente i Napoletani, Siciliani, Piemontesi coloro che più di tutti contribuirono alla diffusione del gelato di scuola italiana in Europa e nel mondo. In genere erano poverissimi, costretti all’emigrazione dalle condizioni economiche in cui versavano. Non potendo ancora permettersi l’apertura di locali, decisero che lo avrebbero portato in giro direttamente loro: s’inventarono i carrettini e con due, tre, quattro carapine di gelato raggiungevano parchi, scuole, edifici pubblici. Poi, quando avevano accumulato sufficiente denaro, aprivano gelaterie, ma non persero mai, fino al secondo dopoguerra l’abitudine di raggiungere le popolazioni con i loro carrettini e il grido tipico: Gelati, gelati!
Nel Novecento il gelato di scuola e tradizione italiana si era ormai affermato. A sostegno della diffusione delle gelaterie vi fu l’importantissimo ruolo delle industrie di macchinari e produttori di semilavorati creati, che contribuirono ad aumentare la qualità del gelato artigianale italiano.
I nuovi macchinari creati appositamente per la fabbricazione del gelato consentono, ad esempio in fase di mantecazione, una giusta immissione di aria nella miscela che crea quella cremosità tipica del gelato di scuola italiana. L’utilizzo poi dei prodotti del territorio, unitamente allo studio di ricette legate alle tradizioni gastronomiche delle diverse aree geografiche contribuiscono a rendere questo prodotto unico e irripetibile, mai standardizzato e veicolo di emozioni, sapori, ricordi e desideri. Corsi di aggiornamento professionale, sono continuamente organizzati, fin dai primi anni Sessanta del secolo scorso, consentendo ai gelatieri artigianali di confrontarsi con nuove tecniche di lavorazione, continuare a studiare le materie prime, bilanciare sempre meglio le ricette alla base delle loro creazioni.
Una rete fitta di gelaterie artigianali copre tutto il territorio nazionale e la rete si è diffusa a livello planetario.
Nel gelato artigianale e nel mestiere di gelatiere di cui, dopo secoli di pratica, siamo maestri è sintetizzata la cultura di un popolo fatto di competenze, creatività e passione.