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LA SOSTENIBILITÀ DELLA GASTRONOMIA: CHE FUTURO AVRÀ? – CARLOS FERNANDES

Carlos Fernandes, Instituto Politécnico de Viana do Castelo in Portogallo

É è docente presso l’Instituto Politécnico de Viana do Castelo in Portogallo e direttore del corso di laurea triennale in Turismo del medesimo ateneo. Coopera con l’UNWTO e il Consiglio d’Europa in attività di formazione sul tema del turismo.

 

I 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (OSS) adottati dalle Nazioni Unite nel 2015 mirano a porre fine alla povertà, a proteggere il pianeta e garantire uno sviluppo sociale ed economico equo. Come è possibile essere più sostenibili? Questi Obiettivi forniscono una «mappa» che ci porterà ad un futuro migliore; per essere attuati, richiedono un approccio interdisciplinare che può essere raggiunto solo attraverso la collaborazione tra i differenti settori. Purtroppo, ancora oggi le persone attribuiscono diversi significati alla parola sostenibilità. L’enogastronomia potrebbe svolgere un ruolo decisivo nel raggiungere i 17 Obiettivi se i decisori politici ed istituzionali mostrassero un maggiore interesse (ed impegno) nell’adottare modalità di produzione agroalimentare alternative alle attuali, evitassero lo spopolamento delle aree agricole ed intensificassero programmi integrati di sviluppo rurale – ossia la diversificazione delle attività attraverso, ad esempio, il turismo. La sostenibilità, infatti, non riguarda solo i risultati ma anche i processi.

Il cibo è un elemento centrale nella produzione e ri–produzione della vita culturale e sociale. Ne veicola i valori condivisi, le tradizioni, … nel corso della quotidianità e delle occasioni speciali. Di conseguenza, la cultura e le relative pratiche si riflettono (anche) nelle abitudini alimentari e di socializzazione attraverso il pasto. Il cibo concorre a costruire l’identità, promuove la cooperazione all’interno della comunità locale e genera strutture organizzative adeguate alle esigenze di chi vive nel luogo.

Le persone hanno uno stretto legame con il territorio e il patrimonio culturale. Il paesaggio è per loro uno specchio dello stile di vita e l’enogastronomia il collegamento tra luogo e persone. Il cosa e il come mangiare nasce dalla necessità, disponibilità e intuizione, è codificato non nei libri ma nella memoria individuale o nella saggezza comune. Le culture culinarie sono quindi pratiche sociali che si sono sviluppate ed evolute nel tempo in luoghi specifici.

Nel corso dei decenni abbiamo purtroppo assistito ad un fenomeno di continuo abbandono delle aree rurali, numerose sono le persone che hanno deciso di lasciare questi luoghi per trasferirsi nelle città. L’agricoltura intesa come mezzo di sostentamento è divenuta nel tempo «meno accettata», poiché le persone hanno preferito sempre più un lavoro che garantisse loro un salario attraverso cui migliorare il proprio benessere. Con la modernità, crescita economica ed accumulo di ricchezza hanno assurto a essere le nuove aspirazioni sociali condivise, ed i valori tradizionali sono stati messi in discussione o persino dimenticati. L’individualità ha sostituto le vecchie forme di collaborazione, e nuovi metodi di produzione e stili di consumo si sono affermati. Ma anche il paradigma urbano è entrato in crisi, la vita nelle città è divenuta sempre più «difficile» generando nelle persone il desiderio di un cambiamento.

Ecco che l’enogastronomia può – poiché ne ha il potenziale – giocare un ruolo di primo piano nel processo di transizione a una maggiore sostenibilità. Nonostante le città siano diventate «mete» popolari per chi vive in campagna, una buona parte di chi vive negli spazi urbani ha origini rurali e prova una certa nostalgia. Inoltre, sempre più cittadini guardano al territorio rurale per soddisfare necessità a cui la città non sa più dare risposta. Pensiamo, ad esempio, alla famiglia rurale, che a livello rappresenta simbolicamente la semplicità, la purezza e la salute. Appare quindi sempre più necessario connettere le culture delle aree urbane e rurali, colmare questo divario. Questo mi porta alla domanda successiva: quale direzione sta prendendo il turismo enogastronomico?

Il legame tra cultura e cibo si sta sempre più rafforzando, e i turisti vedono nell’enogastronomia un modo per avvicinarsi e conoscere l’identità del luogo. Il mantenere la propria cucina tradizionale con prodotti e ingredienti provenienti dai produttori locali diventa un asset per una destinazione turistica. Non possiamo scindere la tradizione culinaria dall’uso dei prodotti locali. I viaggiatori oggi considerano tutto questo come qualcosa di speciale, che loro stessi hanno perduto, ed è quindi meritevole di essere tutelato. L’enogastronomia collega idealmente il turista al luogo, gli/le fornisce stimoli per visitarlo.

Per questa ragione la pratica turistica può essere usata come un fattore di attrazione per portare le persone a partecipare agli eventi enogastronomici, a seguire percorsi ed itinerari, a recarsi nei ristoranti a degustare le specialità locali …

L’effetto è duplice: il turismo facilita la conoscenza della cultura enogastronomica ed il cibo migliora l’esperienza dei viaggiatori. In aggiunta, sostenere e comunicare queste pratiche tradizionali consente al territorio di rafforzare la propria distintività come meta culturale (ed enogastronomica). Comprendere il comportamento dei turisti è però necessario.

Dobbiamo considerare che la cucina tradizionale è per la comunità locale parte integrante del proprio bagaglio culturale, ma non lo è per il turista. Per tale ragione possiamo (e dobbiamo) farla conoscere in una pluralità di modi: non solo mangiando, ma sentendosi raccontare la storia, gli aneddoti, le tradizioni e vivendo il territorio.

Il rapporto tradizionalista e nostalgico che le persone hanno con il cibo e la cucina locale è il risultato di pratiche e conoscenze che affondano le radici nella storia e che hanno sostenuto l’unicità. L’enogastronomia tradizionale è profondamente radicata nei valori e nello stile di vita e la cucina casalinga rimane un fattore di orgoglio, simpatia e solidarietà. Questa nostalgia può essere utilizzata per attirare i turisti domestici, poiché condividono lo stesso bagaglio culturale. Proviamo ora ad immaginare cosa potrebbe succedere una volta che i nostri ricordi svaniscono. Tutelare questa cultura significa sostenere le pratiche culinarie ed i sistemi di produzione tradizionali dagli effetti negativi della globalizzazione. Significa proteggere i piccoli produttori dalle grandi aziende alimentari. Ma come possiamo rendere sostenibile l’enogastronomia?

Credo che sia importante riconoscere che uno sviluppo sostenibile del patrimonio enogastronomico non si traduce solo nella conservazione del passato, ma anche nel creare il futuro. I cambiamenti culturali inevitabilmente portano a nuove abitudini e stili di vita, anche nel cibo. La sfida principale è capire se promuovere un turismo volto a conservare le pratiche tradizionali o a innovarle per arricchire l’offerta turistica e farle apprezzare dai visitatori. Greg Richards ritiene che un certo grado di rischio sia intrinseco in entrambe queste strategie. Adattare l’enogastronomia locale ai gusti globali può portare ad allontanare il cibo dalle sue radici, trasformandolo in un’attrazione turistica. D’altro canto, anche cercare di rimanere fedeli alla tradizione è pericoloso,poiché potrebbe non essere apprezzato dai visitatori. Oggi, in un contesto di rapido e forte cambiamento dei modi di mangiare, le destinazioni devono sempre più correre rischi per offrire proposte attrattive.

È parimenti necessario comprendere che sostenere ha un significato diverso da preservare. Se consideriamo l’enogastronomia una pratica culturale, dobbiamo accettare che questa – così come la cultura in senso lato – cambia e si evolve nel tempo. I nostri gusti sono diversi da quelli delle generazioni precedenti, le nostre conoscenze e gli stessi ingredienti e prodotti sono cambianti. L’uguaglianza generazionale è uno dei principi portanti dello sviluppo sostenibile; per questo dobbiamo comprendere che i nostri figli non mangeranno gli stessi nostri cibi o quelli dei nostri genitori e nonni. Ciò che siamo chiamati a garantire è che la cultura culinaria che ha «prodotto» uno specifico paesaggio enogastronomico sia sostenibile nel tempo. Inevitabilmente, cambierà la percezione di ciò che ora consideriamo locale. Il patrimonio enogastronomico è cambiato negli anni e continuerà a farlo anche in futuro. Non dobbiamo fissarci sulla sua tutela e «cristallizzazione» nel passato, ma favorire un processo di adattamento creativo e di innovazione. La chiave per un’enogastronomia sostenibile è l’accesso ad ingredienti di qualità tramite la filiera corta e il sostegno ai produttori locali.