Educare ai principi della sana alimentazione, del consumo responsabile e consapevole e al valore culturale del patrimonio enogastronomico è oggi un’esigenza sempre più sentita e riconosciuta come prioritaria. Specialmente nei confronti delle nuove generazioni.
La scuola, dopo la famiglia, ha un ruolo centrale nella formazione e nella socializzazione. Fornisce a studenti e studentesse gli strumenti per una crescita culturale, psicologica e sociale, promuove la responsabilità, l’autonomia e la cittadinanza attiva. Introdurre l’educazione alimentare nei piani formativi degli istituti primari e secondari rappresenta la modalità principe per accrescere le conoscenze e sostenere comportamenti consoni. In Italia non è attualmente previsto l’insegnamento obbligatorio; si ravvisano differenti iniziative, anche di natura legislativa, che rimarcano l’importanza di una corretta e sana alimentazione per gli studenti e le studentesse. (1)
Al fine di contribuire al dibattito e facilitare il processo di introduzione di questa materia, è opportuno identificare le ragioni che stanno alla base e le possibili modalità.
È un’esigenza di salute pubblica
Nel nostro Paese, l’alimentazione scorretta rappresenta il principale fattore di rischio comportamentale causa di morte dopo il fumo, con 144,9 decessi provocati ogni 100.000 abitanti e un’incidenza del 23,1% sul totale dei decessi (2) (Grafico 1). È, inoltre, insieme alla sedentarietà, una delle cause di obesità – fenomeno che sta assumendo una dimensione sempre più importante. Il 46,2% della popolazione d’età maggiore ai 18 anni è in eccesso di peso – nello specifico 34,2% in sovrappeso, 12,0% obeso (3). Guardando ai più piccoli, questo problema interessa il 28,9%, una percentuale decisamente superiore alla media europea che fa collocare l’Italia al quarto posto in Europa (4). L’impatto sul sistema sanitario nazionale è rilevante, poiché la gestione e la cura delle patologie croniche non trasmissibili associate rappresenta circa il 9% della spesa sanitaria annua e si stima porti una riduzione del PIL del 2,8% (5).
L’Organizzazione Mondiale della Sanità raccomanda una dieta sana ed equilibrata per contrastare il l’obesità ed il rischio di malattie potenzialmente letali. Questa indicazione dovrebbe essere teoricamente di più facile applicazione in Italia poiché si rifà ai dettami della Dieta Mediterranea; tuttavia, solo 17,3% dei nostri concittadini è consapevole dell’effettivo consumo di frutta e verdura consigliato, e il 5% segue questa buona pratica (6).
L’educazione alimentare nelle scuole diviene una strategia di prevenzione: accresce la consapevolezza e le conoscenze sui rischi correlati a diete scorrette ed i benefici derivanti dal modificare le abitudini. A corredo, per sostenere l’adozione di comportamenti semplici (ma virtuosi) appare utile inserire nei distributori automatici solo alimenti sani, con filiera tracciabile e possibilmente locali – ad esempio, frutta e verdura fresca, frutta essiccata, succhi di frutta, smoothies senza zuccheri aggiunti e yogurt da bere.
Contribuisce a preservare il patrimonio enogastronomico italiano
Il patrimonio culinario nazionale – di cui la Cucina Italiana e la Dieta Mediterranea sono le più note espressioni – ha una valenza culturale. La progressiva minore abitudine a cucinare della popolazione, specialmente tra i più giovani, e la tendenza all’omogeneizzazione delle abitudini alimentari potrebbe portare ad una perdita graduale di questo insieme unico di conoscenze culinarie e prodotti.
Oggi, buona parte delle persone consuma il pranzo fuori casa. Questo non è un problema in sé, ma lo diventa se consideriamo che il tempo dedicato dagli italiani a cucinare è in progressiva diminuzione circa un’ora tra colazione, pranzo e cena (7). Il rischio concreto è la dispersione dei saperi connessi e che caratterizzano, da nord a sud con espressioni differenti, il nostro Paese.
Inserire l’insegnamento dell’educazione alimentare nelle scuole può diventare il mezzo attraverso cui educare le nuove generazioni al patrimonio enogastronomico, stimolando una presa di coscienza collettiva e contribuendo alla sua tutela. A corsi di natura teorica è auspicabile affiancare lezioni pratiche: è attraverso la manualità che il processo di “riappropriazione” può diventare più efficace. A conferma di ciò sono le opinioni degli italiani: il 74% che considera importante che studenti e studentesse acquisiscano conoscenze relative alla cultura enogastronomica italiana, il 69% che possano imparare a curare un orto ed il 57% a cucinare – sebbene questa necessità tende a diminuire di importanza tra i più giovani (Tabella 1).
Ridà valore alla filiera agroalimentare italiana
I piccoli produttori agroalimentari e gli artigiani del gusto figurano tra i depositari del patrimonio enogastronomico italiano. Attraverso il loro lavoro, mantengono vive le tradizioni, le usanze, le conoscenze che caratterizzano le produzioni enogastronomiche locali (la dimensione intangibile). Parimenti, sono elementi caratterizzanti il tessuto economico e sociale del nostro Paese, nei centri urbani così come nelle aree rurali, la cui perdita avrebbe effetti negativi sotto tutti i punti di vista – anche in termini di dispersione del patrimonio enogastronomico italiano.
È pertanto auspicabile rafforzare l’insegnamento dell’educazione alimentare con attività integrative quali attività di visite ai piccoli produttori locali e agli artigiani del gusto. I risvolti di questa iniziativa avrebbero ricadute su tutti gli attori coinvolti. Per le nuove generazioni, la visita sarebbe occasione per acquisire conoscenze di natura teorica e pratica complementari a quanto svolto in aula. Inoltre, si andrebbe ad accrescere l’appeal di queste professioni garantendone la prosecuzione. Per i piccoli produttori locali e gli artigiani del gusto, la collaborazione con gli istituti scolastici potrebbe offrire un concreto supporto (in primis di natura economica) alla loro sopravvivenza e supportare la creazione futura di nuova impresa giovanile. Si andrebbe così a creare un circolo virtuoso, con benefici diffusi.
A confermare la bontà di questa possibile iniziativa sono gli italiani stessi. Il 76% ritiene importante che studenti e studentesse possano visitare i produttori locali e/o gli artigiani del cibo durante il percorso e scolastico – anche se fra i più giovani il consenso tende a diminuire (Tabella 2).