Marcantonio Ruisi
Il Turismo che fa il suo focus su un’esperienza di food & beverage è un turismo per definizione esperienziale, in cui il coinvolgimento dei sensi – in pienezza di tutti e cinque i sensi – diventa suo elemento trascendentale, cioè qualificate, costitutivo; è un turismo, inoltre, prevalentemente – lasciamo spazio ad una residuale fruizione «eremitica»! – di tipo relazionale che cioè – entro certi limiti – si arricchisce di valore nella condivisione, a differenza di un mero bene di consumo che tende ad esaurirsi con l’aumentare del numero dei partecipanti.
È d’altronde un turismo che oggi chiede in modo pressante strategie di rinnovamento del marketing mix: modalità nuove di connessione con la clientela con app innovative e di consegna verso il greensmart delivery (ai bikers e ai riders, si pensa di affiancare in futuro l’impiego di droni); modalità nuove di packaging sempre più funzionale ad evitare lo spreco alimentare, a favorire la raccolta differenziata, a consentire la tracciabilità del prodotto e la conservazione ecocompatibile degli alimenti (così il progetto di startup «Edybiopack» presentato dalla StartCup Sicilia al Premio Nazionale dell’Innovazione 2019 di una pellicola spray per alimenti edibile ottenuta dallo scarto del carapace di gamberi e granchi).
E, dall’altro lato, che sappia, nel suo design, esaltare la percezione di genuinità e tipizzazione locale del prodotto; customizzazione delle strategie di prezzo in relazione al target prescelto in ottica di yield management (giusto prezzo, per giusto target), ma anche corresponsione del prezzo attraverso baratto.
In aggiunta, modalità nuove di identificazione del target obiettivo, quindi attenzione alle communities (per richiamare la «p» di people); modalità di offerta e fruizione altre rispetto alla tradizionale ristorazione al tavolo che al più si arricchisce dello storytelling del piatto o del calice narrato dallo chef o dal maître de salle o dal sommelier.
Oggi sappiamo dilaga lo show-cooking e il format delle cucine aperte in strutture piuttosto che nelle case di privati (servizio promosso anche dal più noto dei portali di prenotazione di appartamenti), così come l’home cooking degli chef a domicilio.
Si diffonde, soprattutto, lo storydoing di chi vuole sperimentarsi sotto la guida di mani esperte come chef in erba elaborando piatti che di norma poi consuma. In questa direttrice di prosumerismo (neologismo sincratico derivante dai termini anglosassoni production e consumption) si innestano varie modalità di coinvolgimento che possono risalire a monte dalla produzione degli ingredienti, alla trasformazione e poi al consumo (metti in pentola quello che hai prodotto e/o raccolto, mangia quello che hai pescato, cucina e condividi la tua ricetta preferita, ecc.), come sempre più accade nelle aziende agrituristiche e non solo; a valle, nell’acquisto tramite app di panieri di ingredienti, anche a km0, con ricetta inclusa e pronti ad essere utilizzati in famiglia o con amici in un’esperienza che diviene anche ludica.
La gamification entra invero sempre più nel food & beverage e apre le porte a nuova fruizione e quindi ad un rinnovamento del più ampio sistema di prodotto. L’espressione introdotta nel 2003 ad opera del programmatore e disegnatore di giochi Nick Pelling, secondo Deterding et al. (2011), così come di Werbach e Hunter (2012), concerne l’uso di elementi del game design in contesti (tradizionalmente) non ludici; introduce nuove modalità di fruizione, in genere più coinvolgenti e partecipate capaci di rilanciare dinamiche di «attrazione, interazione ed esperienza».
Un esempio è quello di piattaforme che attraverso il sistema della geolocalizzazione della propria rete di amici stimola a frequentare – una e più volte- un locale e a promuoverne a sua volta l’altrui frequentazione, anche attraverso un sistema di ricompense e gratificazioni che di norma sono di quattro tipi:
- status, si consegue una posizione “sociale” apprezzabile (ad es. la qualifica di “sindaco”);
- access, si usufruisce in questo caso di condizioni speciali (come servizi esclusivi e riservati solo ad alcune categorie di utilizzatori, ad es. «salta la coda», «piatto dello chef», zone lounge e privé);
- power, si raggiunge un livello in cui ci si trova nella condizione di poter esercitare determinati privilegi e svolgere eventualmente determinate attività (ad es. «entra in cucina e assaggia», «entra e cucina»);
- stuff, è la categoria che completa il set e ricomprende ricompense tradizionali (ad es. voucher, gadget ricordo, prodotti da degustare, sconti, domicilio gratuito, …).
Altri esempi di gamificazione che coinvolgono gli avventori riguardano sfide culinarie, cacce al tesoro (degli ingredienti, della ricetta, ecc.), esibizioni artistico-gastronomiche (ad es. sculture di burro, di cioccolato, di zucchero, intagli su frutta e ortaggi, o presentazione coreografica del piatto, ecc.), cene al buio, workshop di produzione (ad es. di birra) – solo per citarne alcuni – tutti format organizzati richiamando architetture, meccaniche e driver tipici delle esperienze ludiche. Quanto ai driver motivazionali – richiamando Yu Kai Chou (2012) – spiccano quelli di:
- Development & Accomplishment, con la definizione di obiettivi sfidanti, ambiziosi, di difficoltà crescente ma comunque realizzabili;
- Creativity & Feedback, quale tendenza a sperimentare, a personalizzare, a provare varie e alternative combinazioni al contempo avvertendo il bisogno di ricevere riscontri o feedback dall’esterno (tipicamente attraverso i social network);
- Influence & Relatedness, come aspirazione a condividere la propria esperienza, a socializzare e stare in compagnia, da cui la ricerca di modalità ludico-cooperative.
- Unpredictability & Curiosity, come desiderio di andare incontro all’ignoto, di confrontarsi con una realtà sconosciuta ed imprevedibile da considerare fattore stimolante per chi vuole superare la routine e la noia della solita esperienza culinaria. Creare, divertirsi, socializzare, appassionarsi, mettersi in gioco, sperimentare, ricercare, connettersi, informarsi, ecco alcune key words (per la precisione verbi) di una «nuvola di parole» della gastronomia che oggi si aggiungono a quelle (aggettivi) di: biologico, genuino, tracciabile, a Km0, smaltibile, riciclabile, lento, dietetico; queste, senza tralasciarne una importante: solidale.
Per le cose finora dette si ritiene che quello del turismo gastronomico –intrinsecamente culturale – sia un settore impermeabile all’invecchiamento, ad un declino di irreversibile maturità, mostrando sempre nuovi guizzi di rinnovamento, nuove proposte di rilancio, nuove occasioni per stupire ed attrarre, nuovi contenuti da raccontare e nuove modalità per proporli.