Carlos Fernandes, Professore Associato di Studi sul Turismo presso l’Istituto Politecnico di Viana do Castelo, Portogallo.
L’identità di un territorio e delle persone che vi vivono si esprime attraverso il patrimonio culturale, le tradizioni, le abitudini ed i valori condivisi e trasmessi di generazione in generazione, le relazioni che si sono consolidate nel tempo. L’enogastronomia è un elemento portante di questo patrimonio, rappresenta e veicola un territorio e la sua identità e si esprime anche attraverso specifiche abitudini alimentari. Le persone tendono a preparare e consumare le pietanze tipiche in modo differente da luogo e luogo; spesso, però, si ravvisa un certo senso di nostalgia poiché questi piatti provengono da un passato che non esiste più.
Il patrimonio enogastronomico affonda le proprie radici nella cultura e nel territorio, ed ha una forte connotazione sociale poiché include pratiche che si sono sviluppate e consolidate nel tempo. Per le persone del luogo il momento del pranzo (o della cena) può essere un piacevole passatempo poiché permette di stare insieme attorno allo stesso tavolo. Per coloro che visitano un territorio tende ad essere differente: per tale regione appare importante insegnare loro ad apprezzare i prodotti ed i sapori locali trasmettendone al contempo la storia. Creare questo collegamento può rendere l’enogastronomia locale più attrattiva per i turisti.
Come è possibile riconoscere un prodotto e/o piatto tipico? Sono molti i viaggiatori che si pongono questa domanda, e la risposta può essere relativamente semplice. Un prodotto e/o un piatto è tipico quando si ispira alla cucina ed alle tradizioni del passato, ed utilizza prevalentemente ingredienti locali.
Taverne, trattorie, bistrot, casas de pasto, … termini differenti per ogni Paese ma che hanno il medesimo significato. Si tratta di luoghi noti per preparare pietanze seguendo le ricette ed i metodi di preparazione della tradizione. Spesso frequentati da persone del luogo che cercano piatti semplici fatti in casa, dalle porzioni abbondanti ed accompagnati con vino locale, questi locali di caratterizzano per un’atmosfera conviviale ed informale. Qui la tipicità della cucina è generalmente assicurata, nonostante negli ultimi anni si sono verificati importanti cambiamenti a causa della globalizzazione e dalla conseguente omogeneizzazione dei consumi, delle innovazioni tecnologiche che hanno modificato non solo il modo in cui si preparano le ricette ma anche le abitudini di acquisto e di consumo e dalla pandemia.
Ma, a livello più ampio, i cambiamenti avvenuti possono mettere «a rischio» le tradizioni enogastronomiche locali. È importante che i ristoranti utilizzino sempre più i prodotti del territorio e tutelino l’insieme di conoscenze e competenze che sta dietro alla preparazione dei piatti. Un grande stimolo può venire dal turismo. Oggi i viaggiatori vogliono vivere la «magia» dell’entrare in contatto con la cultura locale, desiderano sentirsi coinvolti a livello emotivo. Ecco che dal piatto l’attenzione passa alla storia, agli ingredienti, ai valori ed alle tradizioni identitarie, che possono essere narrate attraverso lo storytelling.
Il pasto, inteso come pratica sociale, si compone anzitutto del piatto – e quindi dell’insieme di ingredienti, conoscenze e competenze culinarie, strumenti che servono per prepararlo – e delle regole del galateo a tavola. Affinché diventi pratica sociale è però necessario «dare valore», attribuire un significato al pasto; questo può essere dato dalle persone che si ritrovano per mangiare le pietanze preparate, o dalla combinazione dei piatti data da una specifica occasione.
Fatta questa premessa, se tutti gli stakeholder di un territorio – produttori, ristoratori, negozianti, … – si impegnassero nel riconoscere e valorizzare l’aspetto culturale e sociale della cucina e dell’enogastronomia locale, è altamente probabile che i turisti si fermerebbero più a lungo e tornerebbero per una visita successiva.
L’Alta Cucina rappresenta l’espressione creativa del delicato equilibrio tra scienza e arte culinaria, e pone particolare attenzione non solo al risultato in sé ma anche alla sua presentazione. Questo particolare segmento di mercato si stima oggi attragga circa il 10-15% della clientela. Si tratta quindi di una nicchia, e ha la caratteristica di essere fortemente legata al ristorante ed allo chef e meno al territorio. La cucina tipica, invece, ha un bacino di clientela più ampio ed enfatizza le tradizioni, l’identità locale ed i suoi prodotti, consentendo al turista di scoprire una cultura differente dalla propria.
Un tema centrale riguarda l’adattamento e l’evoluzione della cucina tipica. Il fatto che oggi il turismo enogastronomico sia estremamente popolare non deve portare le destinazioni e gli operatori a modificare in modo sostanziale i propri prodotti, valori e tradizioni per soddisfare le esigenze dei viaggiatori. Per evitare il rischio di perdere questo patrimonio è importante tutelare sia gli elementi tangibili (il prodotto) che intangibili (ossia quell’l’insieme unico di conoscenze, competenze, metodi, valori) valorizzandoli attraverso il turismo.
Non si tratta di un processo semplice. Secondo Máirtín Mac Con Iomaire – docente presso la School of Culinary Arts and Food Technology della Technological University di Dublino – il lavoro degli storici del cibo si basa sullo studio di fonti scritte. L’esperienza diretta di chi è e lavora nel settore viene spesso trascurata, poiché tramandata solo a voce. Bisogna cercare di recuperare e tutelare questo patrimonio sia per il valore che questo possiede che per utilizzarlo come base per una narrazione dell’enogastronomia locale. Come disse lo storico Alessandro Portelli, le fonti orali sono fonti narrative.
Questo lavoro di recupero può partire dalla consultazione dei testi scritti e proseguire con interviste che permettano di raccogliere preziose informazioni sulle storie personali, sulle ricette usate e tramandate a voce di generazione e generazione, sulle tecniche e le modalità di preparazione dei piatti, sul significato sociale ed i cambiamenti avvenuti nel tempo. Si andrebbe così a creare un «inventario» di memorie di una comunità, favorendo al contempo una presa di coscienza collettiva che può tradursi in attività di divulgazione e sensibilizzazione sia verso l’esterno (es. i turisti) che all’interno (nelle scuole, …).
BIBLIOGRAFIA
Mac Con Iomaire, Martin (2010). «Hidden Voices from the Culinary Past: Oral History as a Tool for Culinary Historians». In Friedland, S. (Ed) Food and Language. https://doi.org/10.21427/D7V76N
Portelli, A. (1988). «What makes oral history different». In R. Perks and A. Thompson (Eds.) The Oral History Reader, Routledge, London, p.66.