TURISMO DEL VINO E CULTURA – EMANUELA PANKE

Emanuela Panke, ITER VITIS LES CHEMINS DE LA VIGNE EN EUROPE

Dal 2001, ha iniziato a lavorare come libera professionista, nell’ambito della consulenza e della formazione nel settore del marketing agroalimentare, nel 2006 è diventata vicedirettore dell’Associazione Nazionale Città del Vino. Successivamente ha lavorato per tre anni per Unione Italiana Vini per progetti OCM in India, Cina, Russia e USA, continuando a gestire anche progetti di sviluppo rurale in vari Paesi finanziati dall’UE e da NGO internazionali come USAID. Dal 2007 è stata Segretario Generale dell’Itinerario Culturale del Consiglio d’Europa Iter Vitis Les Chemins de La Vigne, di cui nel 2018 è diventata Presidente.

Sin dalle prime forme sperimentali di visita in cantina, il turismo del vino è stato associato al turismo rurale, una diretta derivazione dell’agriturismo anni ‘80: la mitica fuga dalla città dei colletti bianchi per trovare una serenità apparente, in un ambiente bucolico, che veniva coronata negli anni ‘90 dai primi incontri pseudo organizzati con i produttori locali, cui seguiva, immancabilmente l’assaggio dei prodotti, tra i quali ovviamente primeggiava, per potere seduttivo, il vino.

Negli anni, il turismo del vino ha mantenuto questo carattere virgiliano, anche nelle sue espressioni più di nicchia, venendo poi a essere associato in tempi recenti, al più trendy turismo esperienziale e ovviamente ad essere marchiato con l’imprescindibile etichetta di turismo sostenibile per eccellenza.

Il rischio in tutte queste microevoluzioni è stato, e continua ad essere, quello di cadere, da un lato nella banalità, viaggi con decine di visite fotocopia e dall’altro nella ricerca della WOW experience a tutti i costi, con la possibilità, tutt’altro che remota, di scadere nel ridicolo: vino e ricamo, vino e sumo, vino e fantascienza, insomma qualsiasi cosa pur di stupire.

Probabilmente un trend, quello del WOW dobbiamo stupire a tutti i costi, non solo legato a questo comparto, ma un fenomeno generazionale: nessuno é più capace di meravigliarsi o entusiasmarsi per quello che ha di fronte agli occhi, siamo tutti pronti per la fatidica domanda: e poi? E ora che succede?

Si trascura, si da per scontato, nel nostro discusso e super analizzato enoturismo,  il fatto che la viticoltura possa essere essa stessa, con la sua storia, il suo paesaggio, il suo savoir faire, il fattore primario di stupore e fascinazione e che, soprattutto nel continente Europa, continente i cui confini superano i classici paesi produttori e ci portano dalla Russia al Portogallo, dal Lussemburgo alla Tunisia e Libano, siamo permeati di elementi che possono sorprendere, soddisfare, far affezionare un turista del vino ancora molto prima di arrivare al momento di farlo bere, anzi, possiamo facilmente parlare di un enoturismo anche per astemi o per chi al vino si sta avvicinando e può diventare il consumatore di domani.

Il turismo del vino di oggi e del prossimo futuro non è solo turismo rurale, ma deve essere imperativamente identificato come turismo culturale.

Visitare il Foro Romano e scoprire dove si trovavano le vigne, apprendere quella che era la stagionalità e il ciclo produttivo della vite all’epoca dei romani; perdersi nei boschi della Locride o nelle campagne di Ardauli in Sardegna, dove giacimenti di vasi pressori di epoca pre-ellenistica ci riportano alle origini delle tecniche di produzione e ancora, sbarcare in Libano e capire  nel sito di Tell Burak come pressavano le uve nella terra dei Fenici e come, attraverso un sistema di vasi comunicanti facevano passare il mosto nella vasca di fermentazione; arrivare in Tunisia e seguire le orme dell’agronomo Magon fino all’altra sponda del Mediterraneo nel Parco di Selinunte: può esistere un effetto più WOW di questo per un vine and wine lover?

L’idea del turismo per astemi è realistica, quanto ovviamente provocatoria, e, lungi dall’auspicare una diminuzione dei consumi, la dimensione culturale del turismo del vino e della produzione del vino in genere, ci permette al contrario, anche una profonda riflessione sui pericoli imminenti di calo dei consumi, che arrivano dalla demonizzazione fanatico-igienista del vino ad opera di Paesi non produttori.

L’attualità europea nei mesi scorsi ha imposto un’accurata analisi dei pericoli che deriverebbero da una scellerata legislazione in materia di etichettatura, e da un sospetto allarmismo sui pericoli del vino per la salute, quale il miglior strumento per difendere questo patrimonio a noi caro, se non quello di mostrare quanto il vino sia un prodotto culturale alla stregua di un quadro o una scultura, un prodotto che custodisce la memoria del continente europeo e che è rappresenta una parte essenziale della sua civilizzazione.

La viticoltura e il vino preservano i paesaggi di molte regioni d’Europa. E al di là della mera dimensione della natura stessa, i metodi di vinificazione sono in Europa molto diversi e frutto di lunghe tradizioni.

Il turismo del vino deve essere il fil rouge che unisce questi luoghi, la rappresentazione della vite e della sua storia millenaria che varca ogni confine geografico, la strada che porta alla scoperta di luoghi suggestivi, mutevoli a ogni stagione, fatti di patrimoni materiali e immateriali di straordinario fascino.

Il vino, la vite e i viaggi ad essi legati rappresentano anche uno strumento meraviglioso di dialogo interculturale, Paesi con attriti politici ed etnici apparentemente insanabili, condividono varietà antiche autoctone e il loro patrimonio genetico, paesi in cui la tradizione vitivinicola, un sito archeologico o un museo con reperti legati alla vinificazione servono da ponte con l’Unione Europea.

Ovviamente parlando di archeologia ci riferiamo anche tutta la parte relativa all’archeobotanica: le collezioni ampelografiche di Beirut, Crotone e Toulouse, create a scopo di ricerca, diventano oggi dei musei a cielo aperto della biodiversità nei tempi antichi e fonte di ispirazione per far fronte ai problemi derivanti dai cambiamenti climatici: il clima di secoli fa era vicino al nostro odierno? E quali varietà rendevano meglio? Cultura, sostenibilità, dialogo tra i popoli: serve altro per stupire?

Dal 2007 con la costituzione di Iter Vitis les Chemins de la Vigne, Itinerario Culturale del Consiglio d’Europa, si è cercato di mettere le fondamenta di quella che ora è un impellente necessità: il riconoscimento dello statuto culturale del vino. Iter Vitis, nata in Italia come Associazione Internazionale, conta  oggi 23 Paesi membri, dall’Azerbaijan a Israele, dalla Francia al Montenegro e poi Libano, Herzegovina, Georgia e ha dimostrato negli anni anche quanto, anche a  livello di mercato, il vino assurgendo a elemento culturale contribuisca alla costruzione di un marchio di valore anche in Paesi in cui la produzione non raggiunge livelli apicali di notorietà e la cultura diventi anche una leva di marketing, penso ai Kvevri in Georgia per esempio, oppure agli scavi nel Bosporum Kingdom, area caucasica di produzione di vini frizzanti; lo sapevate che l’Hermitage di San Pietroburgo ha una collezione di reperti legati solo alla produzione e consumo di vino?

Non occorrono i lunapark del vino, piuttosto continuiamo a mappare e valorizzare i nostri attrattori culturali che hanno un legame con il vino, rappresenteranno, sul lungo periodo la nostra principale assicurazione per fidelizzare i turisti del vino già attivi e per conquistare nuovi mercati.